giovedì 26 marzo 2015

Quando lettura e scrittura diventano sinonimi di aggregazione e creatività



Con qualche giorno di ritardo, eccomi qui a raccontarvi un’altra tappa del cammino di esplorazione delle varie forme di coinvolgimento della narrazione in ambito salute.

Il quinto incontro, intitolato “Leggere e scrivere collettivamente: in ospedale, in casa di riposo, in comunità”, ha proiettato il pubblico direttamente all’interno di una dimensione molto particolare nell’utilizzo della parola che la vede rimanere in equilibrio tra due sue sfumature tanto distanti quanto intimamente legate: leggere e scrivere.

Ospite della conferenza è stato il Prof. Alessandro Perissinotto, associato presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino dove insegna teorie e tecniche della scrittura. Scrittore affermato, è autore di numerosi romanzi tradotti in molti paesi europei e in Giappone, alcuni dei quali sono stati insigniti di premi come il Premio Fedeli , il Premio Grinzane-Cavour e il Premio Chianti.

Quel pomeriggio, dopo la consueta lettura ad alta voce (uno stralcio dal libro di Federico Batini e Simone Giusti Non so che fare), Perissinotto è come se fosse sceso dal palco e avesse preso per mano ciascuno di noi perché diventassimo suoi compagni di viaggio in un percorso d’illustrazione di quella che era stata ed è la sua attuale esperienza nell’utilizzare dello strumento narrativo.

Non si è certo messo a parlare di come nascano i suoi libri, dedicandosi invece a far capire quanto la scelta di portare la lettura e la scrittura in una dimensione di utilizzo della voce o di collettività, possa essere una pratica in cui ci prendiamo cura di noi stessi, anche se potrà apparire un’anomalia rispetto a come sono naturalmente vissuti due tra i gesti più individualistici e intimi.

Il vantaggio di questo tipo di situazioni, infatti, è quello di mettere il nostro lato interiore nelle condizioni migliori per creare un mondo tutto nostro e trovarci in sintonia con esso. Non a caso, Perissinotto ha esordito il suo discorso dicendo che il concetto di raccontare si trova esattamente al confine tra leggere e scrivere, un po’ come se queste due attività fossero il braccio armato con cui ognuno, a sua discrezione, sceglie di parlare di sé.

E tutto ciò accade senza accorgercene, grazie al fatto che il non trovarci soli ci fa sentire sicuri compresi. È un riappropriarsi del senso di comunità grazie alla percezione della volontà di accogliere la nostra persona e il nostro pensiero da parte di chi ci sta accanto.

Se tra amici e parenti questo meccanismo può scattare in modo più facile perché vi sono dei legami affettivi o di sangue, molto meno immediata è la possibilità che si crei un clima di condivisione in un ambiente di cura in cui ciò che ti accomuna con le altre persone non è qualcosa che si è deliberatamente scelto, bensì un aspetto con cui ti devi confrontare tuo malgrado.

Dall’esperienza sul campo, però, la lettura emerge come strumento potente in grado di far evolvere un gruppo di persone apparentemente slegato come quello appena descritto in una piccola comunità che si anima grazie ai momenti che passa insieme.

Svolgere questo tipo di attività dà un significato al proprio tempo e può persino aiutare le singole persone a fare chiarezza dentro di sé comprendendo sino in fondo cosa stiano vivendo. Negli ambienti di cura questo meccanismo deve essere incentivato poiché stimolare la voglia dei pazienti di svelarsi ha effetti terapeutici.

Quando i degenti percepiscono il senso di positività che danno l’ascolto delle storie altrui e lo scrivere si apre la possibilità di innescare la raccolta e riproposizione frequente delle storie degli stessi componenti del gruppo, con la certezza che questo sarà la base per la formazione di una comunità reattiva, vivace e partecipe anche al di fuori della’iniziale attività legata a lettura e scrittura collettive.

Arrivati a questo punto, però, la conferenza ha svelato il suo secondo volto. Non aveva, infatti, il solo intento di raccontare quali siano i risvolti positivi di simili dinamiche,ed è diventata un’occasione per capire “come si fa” a portare avanti questo tipo di lavoro. Un intervento di Lettura ad alta voce si fonda su alcuni elementi principali:
·  distribuzione dei testi ai lettori
·  lettura ad alta voce
·  discussione collettiva

Leggere e scrivere possono sembrare dei gesti ovvi nel loro essere automatici e personali in quanto a modo i cui ognuno di noi li vive, ma quando vogliamo passare al lato pratico e pensare di svolgere un’attività di questo tipo in gruppo non è poi così scontato riuscire a farlo bene e senza perdere da subito l’interesse di chi si ha di fronte.

Per esempio, ascoltare un qualcosa nato per la lettura silenziosa è difficile per cui è opportuno valutare sempre se riscrivere il testo piuttosto che porre dei limiti di tempo in funzione delle caratteristiche del testo (senza mai andare oltre i 15 minuti) e caratterizzare un po’ la lettura senza eccedere nella teatralità.

Molto importante è allenare la propria capacità di cogliere il desiderio di interloquire da parte di chi vi stava ascoltando fino a un secondo prima. Ciò significa che qualcosa è scattato, qualcuno si è sentito coinvolto e ha cominciato a uscire dalla propria singolarità per entrare in un clima di confronto comune e quindi è necessario passare alla fase di discussione.

Non secondario, poi, è progettare un percorso distribuito in un certo numero di incontri non legati tra di loro e far capire che le operazioni richieste saranno piacevoli in modo che chi sarà assente per qualche motivo non possa sentirsi escluso o abbia il dubbio di “essersi perso un pezzo”.  

I momenti di ritrovo dovranno sembrare come dei racconti brevi, delle vicende con un inizio, uno sviluppo e una fine cosicché l’intero percorso non apparirà mai scontato e sempre pieno di sorprese, vie d’entrata e d’uscita come in un itinerario a schema libero in cui tutti percepiscono di avere voce in capitolo.

Proprio di una prospettiva senza troppi vincoli è il clima di cui si ha bisogno per dare lo spazio alle persone di raccontarsi e di essere raccontate attraverso le parole di altri. A prescindere dalle situazioni di cura, oggi si avverte una forte necessità di evadere e oggettivare (dare un volto) alla sofferenza e alle difficoltà che ogni giorno affrontiamo con molta fatica (ruolo apotropaico della scrittura).

La dinamica di gruppo può, inoltre, aiutare a innescare i processi narrativi. Un confronto comunitario, infatti, favorisce l’individuazione delle idee di base per poi decidere di comune accordo se proseguire insieme, ognuno per conto suo oppure in entrambi i modi.

Superate le prime fasi di “innesco”, tutto ciò che verrà fuori sarà una più o meno profonda rappresentazione del narratore come se il racconto costituisse uno schermo dove si comincia a proiettare disordinatamente dei frammenti. Con il tempo si imparerà a mettere più paletti all’inizio e migliore sarà la resa come scrittura.

Per concludere, Perissinotto ha voluto anche terminare il quadro pratico parlando di cosa non si deve fare quando si portano avanti questo tipo di attività:
·  non si deve dare per scontato che la lettura o la scrittura sia un piacere per chi abbiamo davanti, soprattutto nel caso della seconda non bisogna porre limiti in termini di materiale scritto da produrre;
·  non azzardarsi a chiedere in modo più o meno generico di raccontare se stessi perché è come se chiedessimo a qualcuno di spogliarsi nudo;
·  non chiedere di raccontare come ci si sente in questo momento perché può urtare e far sentire chi abbiamo di fronte una nullità;

e fornire tre spunti di scrittura con cui iniziare:
1.    “Mi piace quando…”
Perché implica riferire un’azione in un modo breve e conciso. Si è portati a scegliere non seguendo il caso ma l’istinto l’argomento di cui vogliamo parlare. I dubbi sono pochi e l’immediatezza con cui si scrive non può non far si che il racconto rappresenti l’autore;
2.    Elvis è vivo
Stimolo alla costruzione di una vicenda più articolata, solo apparentemente più fantasiosa, in cui si racconta la dinamica e i motivi che avrebbero spinto questo personaggio famoso a fingere la morte e a rifugiarsi altrove.
3.    Il Fuggitivo
Prendendo spunto dall’omonimo film in cui una persona qualunque si trova a essere testimone involontario di un omicidio commesso da due poliziotti corrotti, si chiede di prospettare una trama per la fuga.

Il primo è utilizzabile decisamente dalla singola persona, il secondo si può prestare anche a un lavoro di gruppo mentre il terzo è decisamente più indicato per una dinamica comunitaria poiché il risultato finale può essere molto migliore quando più sensibilità sono messe a servizio del brainstorming iniziale.

Alla fine di due ore tanto interessanti , ricche di strumenti pratici da utilizzare in ambito sia formativo sia di laboratori di scrittura terapeutica nonché di testimonianze tangibili dell’efficacia di simili pratiche, sono uscito incuriosito e deciso a partecipare alle iniziative di volontariato legate alla lettura ad alta voce come i circoli LAAV (Torino) .

Appuntamento al prossimo report!

Andrea

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