Con qualche giorno
di ritardo, eccomi qui a raccontarvi un’altra tappa del cammino di esplorazione
delle varie forme di coinvolgimento della narrazione in ambito salute.
Il quinto
incontro, intitolato “Leggere e scrivere
collettivamente: in ospedale, in casa di riposo, in comunità”, ha proiettato
il pubblico direttamente all’interno di una dimensione molto particolare nell’utilizzo
della parola che la vede rimanere in equilibrio tra due sue sfumature tanto
distanti quanto intimamente legate: leggere e scrivere.
Ospite della
conferenza è stato il Prof. Alessandro
Perissinotto, associato presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione
dell’Università di Torino dove insegna teorie e tecniche della scrittura.
Scrittore affermato, è autore di numerosi romanzi tradotti in molti paesi europei
e in Giappone, alcuni dei quali sono stati insigniti di premi come il Premio Fedeli
, il Premio Grinzane-Cavour e il Premio Chianti.
Quel pomeriggio,
dopo la consueta lettura ad alta voce (uno stralcio dal libro di Federico
Batini e Simone Giusti Non so che fare),
Perissinotto è come se fosse sceso dal palco e avesse preso per mano ciascuno
di noi perché diventassimo suoi compagni di viaggio in un percorso d’illustrazione
di quella che era stata ed è la sua attuale esperienza nell’utilizzare dello strumento
narrativo.
Non si è certo
messo a parlare di come nascano i suoi libri, dedicandosi invece a far capire
quanto la scelta di portare la lettura e la scrittura in una dimensione di utilizzo
della voce o di collettività, possa essere una pratica in cui ci prendiamo cura
di noi stessi, anche se potrà apparire un’anomalia rispetto a come sono naturalmente
vissuti due tra i gesti più individualistici e intimi.
Il vantaggio di
questo tipo di situazioni, infatti, è quello di mettere il nostro lato
interiore nelle condizioni migliori per creare un mondo tutto nostro e trovarci
in sintonia con esso. Non a caso, Perissinotto ha esordito il suo discorso dicendo
che il concetto di raccontare si trova esattamente al confine tra leggere e scrivere,
un po’ come se queste due attività fossero il braccio armato con cui ognuno, a
sua discrezione, sceglie di parlare di sé.
E tutto ciò accade
senza accorgercene, grazie al fatto che il non trovarci soli ci fa sentire
sicuri compresi. È un riappropriarsi del senso di comunità grazie alla percezione
della volontà di accogliere la nostra persona e il nostro pensiero da parte di
chi ci sta accanto.
Se tra amici e
parenti questo meccanismo può scattare in modo più facile perché vi sono dei
legami affettivi o di sangue, molto meno immediata è la possibilità che si crei
un clima di condivisione in un ambiente di cura in cui ciò che ti accomuna con
le altre persone non è qualcosa che si è deliberatamente scelto, bensì un
aspetto con cui ti devi confrontare tuo malgrado.
Dall’esperienza
sul campo, però, la lettura emerge come strumento potente in grado di far
evolvere un gruppo di persone apparentemente slegato come quello appena
descritto in una piccola comunità che si anima grazie ai momenti che passa
insieme.
Svolgere questo
tipo di attività dà un significato al proprio tempo e può persino aiutare le
singole persone a fare chiarezza dentro di sé comprendendo sino in fondo cosa
stiano vivendo. Negli ambienti di cura questo meccanismo deve essere incentivato
poiché stimolare la voglia dei pazienti di svelarsi ha effetti terapeutici.
Quando i degenti
percepiscono il senso di positività che danno l’ascolto delle storie altrui e lo
scrivere si apre la possibilità di innescare la raccolta e riproposizione frequente
delle storie degli stessi componenti del gruppo, con la certezza che questo
sarà la base per la formazione di una comunità reattiva, vivace e partecipe
anche al di fuori della’iniziale attività legata a lettura e scrittura
collettive.
Arrivati a questo punto, però, la conferenza ha svelato il suo secondo
volto. Non aveva, infatti, il solo intento di raccontare quali siano i risvolti
positivi di simili dinamiche,ed è diventata un’occasione per capire “come si fa”
a portare avanti questo tipo di lavoro. Un intervento di Lettura ad alta voce si
fonda su alcuni elementi principali:
· distribuzione
dei testi ai lettori
· lettura
ad alta voce
· discussione
collettiva
Leggere e
scrivere possono sembrare dei gesti ovvi nel loro essere automatici e personali
in quanto a modo i cui ognuno di noi li vive, ma quando vogliamo passare al
lato pratico e pensare di svolgere un’attività di questo tipo in gruppo non è
poi così scontato riuscire a farlo bene e senza perdere da subito l’interesse di
chi si ha di fronte.
Per esempio, ascoltare
un qualcosa nato per la lettura silenziosa è difficile per cui è opportuno
valutare sempre se riscrivere il testo piuttosto che porre dei limiti di tempo
in funzione delle caratteristiche del testo (senza mai andare oltre i 15
minuti) e caratterizzare un po’ la lettura senza eccedere nella teatralità.
Molto importante è
allenare la propria capacità di cogliere il desiderio di interloquire da parte
di chi vi stava ascoltando fino a un secondo prima. Ciò significa che qualcosa
è scattato, qualcuno si è sentito coinvolto e ha cominciato a uscire dalla
propria singolarità per entrare in un clima di confronto comune e quindi è
necessario passare alla fase di discussione.
Non secondario,
poi, è progettare un percorso distribuito in un certo numero di incontri non legati
tra di loro e far capire che le operazioni richieste saranno piacevoli in modo
che chi sarà assente per qualche motivo non possa sentirsi escluso o abbia il
dubbio di “essersi perso un pezzo”.
I momenti di
ritrovo dovranno sembrare come dei racconti brevi, delle vicende con un inizio,
uno sviluppo e una fine cosicché l’intero percorso non apparirà mai scontato e
sempre pieno di sorprese, vie d’entrata e d’uscita come in un itinerario a
schema libero in cui tutti percepiscono di avere voce in capitolo.
Proprio di una
prospettiva senza troppi vincoli è il clima di cui si ha bisogno per dare lo
spazio alle persone di raccontarsi e di essere raccontate attraverso le parole
di altri. A prescindere dalle situazioni di cura, oggi si avverte una forte
necessità di evadere e oggettivare (dare un volto) alla sofferenza e alle
difficoltà che ogni giorno affrontiamo con molta fatica (ruolo apotropaico
della scrittura).
La dinamica di
gruppo può, inoltre, aiutare a innescare i processi narrativi. Un confronto
comunitario, infatti, favorisce l’individuazione delle idee di base per poi
decidere di comune accordo se proseguire insieme, ognuno per conto suo oppure
in entrambi i modi.
Superate le prime
fasi di “innesco”, tutto ciò che verrà fuori sarà una più o meno profonda
rappresentazione del narratore come se il racconto costituisse uno schermo dove
si comincia a proiettare disordinatamente dei frammenti. Con il tempo si
imparerà a mettere più paletti all’inizio e migliore sarà la resa come
scrittura.
Per concludere, Perissinotto ha voluto anche terminare il quadro pratico parlando
di cosa non si deve fare quando si portano avanti questo tipo di attività:
· non si deve dare per scontato che la
lettura o la scrittura sia un piacere per chi abbiamo davanti, soprattutto nel
caso della seconda non bisogna porre limiti in termini di materiale scritto da
produrre;
· non azzardarsi a chiedere in modo più o
meno generico di raccontare se stessi perché è come se chiedessimo a qualcuno
di spogliarsi nudo;
· non chiedere di raccontare come ci si sente
in questo momento perché può urtare e far sentire chi abbiamo di fronte una
nullità;
e fornire tre spunti di scrittura con cui iniziare:
1.
“Mi piace quando…”
Perché implica riferire un’azione
in un modo breve e conciso. Si è portati a scegliere non seguendo il caso ma l’istinto
l’argomento di cui vogliamo parlare. I dubbi sono pochi e l’immediatezza con
cui si scrive non può non far si che il racconto rappresenti l’autore;
2.
Elvis è vivo
Stimolo alla costruzione di
una vicenda più articolata, solo apparentemente più fantasiosa, in cui si
racconta la dinamica e i motivi che avrebbero spinto questo personaggio famoso
a fingere la morte e a rifugiarsi altrove.
3.
Il Fuggitivo
Prendendo spunto dall’omonimo film in cui
una persona qualunque si trova a essere testimone involontario di un omicidio
commesso da due poliziotti corrotti, si chiede di prospettare una trama per la
fuga.
Il primo è
utilizzabile decisamente dalla singola persona, il secondo si può prestare anche
a un lavoro di gruppo mentre il terzo è decisamente più indicato per una
dinamica comunitaria poiché il risultato finale può essere molto migliore
quando più sensibilità sono messe a servizio del brainstorming iniziale.
Alla fine di due
ore tanto interessanti , ricche di strumenti pratici da utilizzare in ambito
sia formativo sia di laboratori di scrittura terapeutica nonché di
testimonianze tangibili dell’efficacia di simili pratiche, sono uscito incuriosito
e deciso a partecipare alle iniziative di volontariato legate alla lettura ad
alta voce come i circoli LAAV
(Torino) .
Appuntamento al
prossimo report!
Andrea
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