Ciao a tutti,
ammetto di
non possedere il sacro fuoco della cronaca tipico del giornalista, né la
reattività di chi è sempre sul pezzo com’è prerogativa di alcuni blogger, ma non ritengo che vi sia una e
una sola regola soprattutto quando ci si riferisce al blog personale. Magari le
mie scelte non sono tra le più produttive, ma preferisco essere onesto e
includermi tra chi non è portato a scrivere di un evento in modo immediato…sperando
di non fare categoria da solo!
Quando le
manifestazioni volgono al termine, l’effetto dato dall’adrenalina e delle altre
endorfine preferisco godermelo ripensando a ciò che ho visto e sentito, magari
scrivendo qualcosa sui profili social, ma senza avere l’esigenza di inchiodarmi
al PC durante il viaggio di ritorno, la sera stessa andando a dormire tardi o,
al massimo entro le 48h successive.
A dimostrazione di quanto dico viene
proprio questo post, riguardo al quale posso serenamente dire che la decisione di
scrivere sulla mia partecipazione a #NarrAbility, IV Edizione del
Convegno Nazionale di Storytelling (svoltosi il 28 Novembre scorso a Milano), è
stato un processo spontaneo in cui tutto ciò che ho vissuto si è sedimentato e
ha lavorato dentro di me sino a quando ho “percepito” che era arrivato il
momento di condividerlo.
Riguardo a
cosa sto facendo, il mio non sentirmi in ritardo “trova le sue radici” ideali
nelle parole con cui, quell’esatto venerdì di qualche settimana fa Diana Bertoldi ha dato la sua personale
descrizione di cosa voglia dire essere Storyteller o, se preferite, fare Storytelling:
“…riuscire
ad ascoltare
la pancia per portare avanti le proprie azioni, sinceri e puri.
Questa
è l’alchimia necessaria affinché le storie riescano ad affiorare e si possa
essere sicuri
di
quanto ciò che emerge sia adatto per farlo in quell’istante.”
Ma non è tutto qui.
Mi sento anche giustificato (forse troppo…) nell’aver fuggito le imposizioni
della mia razionalità, quel frutto dell’evoluzione che un po’ tutti dobbiamo
imparare a gestire, che mi voleva vedere subito a capo chino su questo pezzo per
averlo finito entro l’1 dicembre. Come sia stato possibile evitarlo? Per spiegare
anche questo faccio ancora appello alle parole di Diana la quale, percorrendo
il palco su e giù a piedi nudi, ha suggerito come fare per capire se ciò che esce
dalla nostra bocca o finisce su un foglio sia autentico o, piuttosto, il frutto
di un pensiero:
“…immediata, sicura ed emotivamente neutra è
l’intuizione.
Per
questo è destinata a sparire e dentro di noi non ne rimane l’impronta.
Se,
invece, ne abbiamo traccia siamo di fronte a qualcosa di non autentico,
bensì
frutto di elaborazione razionale.”
D’altronde,
nel suo introdurre l’evento, anche Alessandra
Cosso ha spiegato come sia centrale comunicare in modo autentico per
descrivere luoghi in cui si è stati e le persone incontrate:
“la
scelta di narrare una storia quanto
quella di riferire un fatto di cronaca
diventa
tale quando si utilizzano degli strumenti in grado di riportare al centro l’essere umano”
Ed è
proprio come descritto da quest’ultimo pensiero che mi sono sentito questa
mattina nel prendere la decisione di scrivere questo post. Come lei stessa ha
ribadito nel successivo intervento, mi sono sentito, anche solo in parte, come
un “animale narrante abitato da Mondi
Narrativi”. Seguendo la formula citata da Martino Gozzi: ho messo il sedere sulla sedia, niente Internet o telefono e via a
collegare segnali e significati presenti nella mia coscienza / memoria dell’evento
per creare dei nodi narrativi e, da essi, la storia che questo post rappresenta.
E allora, fedele a
quanto appena detto come Penelope lo fu nell’attendere Ulisse, proseguo nella
tessitura del mio racconto del convegno passando a parlare di quelli che sono
gli attuali principi attorno a cui ruota e s’ispira la narrazione oggi.
Dopo due donne e un
uomo non poteva che essere invocata la parità, e con nessun altro se non con Andrea Fontana, l’anima dello Storytelling
made in Italy poteva essere ristabilita. Lui ha scelto l’escamotage
quanto mai fanciullesco dello Scarabeo, gioco con cui tutti siamo cresciuti, la
parola Narrability è diventata la traccia principale di una storia, l’anima di
un racconto che nel resto della giornata avrebbe toccato arti, mestieri e
territori tra i più disparati.
Premessa (fatta
dallo stesso Andrea e che sottoscrivo nonostante debba tutelare, da copywriter,
la lingua italiana): la scelta del termine inglese è frutto del fatto che le
due possibili traduzioni, raccontabilità e narrabilità, non riescono a
restituire né il concetto di competenza nel creare delle storie né il bisogno
primordiale di raccontarle da cui tutto ha origine, come abbiamo visto prima.
Venendo al dunque, a ogni lettera che compone il titolo della
manifestazione, Andrea ha affiancato una parola e specificato una prerogativa di
cui la capacità narrativa non doveva assolutamente essere sprovvista. Io, per
completare il mio racconto ho scelto di affiancare, quando era il caso, interventi
e relatori che risultassero esemplificativi in tal senso.
N come Now:
ciò che raccontiamo risulta sempre un qualcosa
che ha profondi legami con il momento che si sta vivendo a tal punto da
sembrare una rappresentazione in streaming del nostro pensiero e delle nostre
emozioni:
Lorenzo Gangarossa, Progetto Italy in a Day il primo social movie nato dal montaggio di più di
2000 ore di girato che rappresenta che cosa accade nelle 24h di una giornata;
A come Ability:
una volta che si ha una confidenza con le
narrazioni, percorso che richiede molta sperimentazione e ascolto, ci si può
mettere al servizio della collettività o dell’impresa per collaborare insieme
alla costruzione di una storia o al recupero di valori importanti:
Massimo Benedetti, Strada
del Riso Vercellese di Qualità;
percorso di educazione alla narrazione come veicolo di informazioni sul proprio
territorio per sentirsene custodi e ambasciatori;
R come Role:
ciascuno di noi, solo
nel momento in cui fa una scelta consapevole di condivisione, ha un ruolo
all’interno di una narrazione e, grazie a essa, fa emergere la propria identità
e le sue dinamiche relazionali:
Alessandra
Cosso, L’esplorazione della realtà
mediante le fiabe, si tratta di strumenti utilizzabili nei percorsi di
coaching, di counseling e di medicina narrativa (che vedremo meglio in seguito)
volti a far emergere gli immaginari delle persone e le problematiche sia
emotive sia relazionali che stanno vivendo;
R come Row:
qualsiasi tipo di narrazione si stia portando avanti,
è imprescindibile decidere una sequenza agli eventi. Quest’aspetto sarà
comunque e sempre influenzato dal nostro punto di vista per cui sia di ciò che
ci riguarda sia di ciò che riguarda gli altri potranno nascere prospettive
diverse che contribuiscono alla formazione di un pensiero collettivo:
Martino
Gozzi, Montaggio ed Esperienza - Lo
Storytelling in 9 scene memorabili, narrazione vuol dire ispirazione ma
anche disciplina senza la quale mettere insieme gli elementi per dare origine a
una storia di senso compiuto non sarebbe così facile;
A come Anywhere:
qualsiasi luogo può diventare oggetto della
narrazione, non soltanto una persona, perché si può sempre entrare in contatto
con qualcosa che non appartiene al presente (non-luogo) ma ha dei contorni bene
definiti perché comunque ha avuto una collocazione fisica e dei protagonisti.
Specialmente nella narrazione del territorio, se la narrazione è ben costruita,
il non-luogo può addirittura tornare a vivere:
Manuele Cecconello e
Francesca Conti, Storie di Lana, programma di innovazione sociale che ha permesso la
promozione della cultura del territorio per favorire il turismo e valorizzarne
i prodotti, attraverso la condivisione di un patrimonio che sarebbe rimasto di
pochi;
B come Beauty:
la storia, per quanto
debba rimanere strettamente legata al proprio contenuto e al suo carattere
positivo / negativo, non deve essere priva di tratti suggestivi senza i quali non
potrebbe definirsi una vera e propria storia;
I come Illness:
come è successo nei primi stadi evolutivi del
genere umano, il bisogno di raccontare nasce dalla necessità di esternare la
propria insicurezza. Funziona come una richiesta più o meno velata di aiuto e
di supporto di fronte a ciò che ci accade nella vita o intorno. Si può trattare
di vicende che hanno bisogno di una soluzione o meno, ma per le quali la
condivisione di ciò di cui si è avuto esperienza è già una risposta di per sé:
Micaela
Castiglioni, Medicina Narrativa, ovvero che
cosa c’entrano i medici con le storie? In certe situazioni, i problemi di salute
possono far sperimentare all’individuo un’incertezza radicale e fatica a ritrovare
un senso per la propria vita. Spesso si aggiunge l’atteggiamento del curante
che non si prende correttamente carico di chi soffre facendolo diventare il luogo e non l’agente narrante
della malattia (un mero progetto medico). Il medico o l’infermiere che ha a che
fare con le storie cosa deve fare? Ascoltare le biografie ma anche prendersi il
tempo di appuntarsele. Senza prendere coscienza delle sfumature antropologiche della
malattia non riuscirà a comprenderla in pieno, rappresentarla al paziente e accompagnarlo nel
percorso di cura;
L come Loyalty:
fedeltà e rispetto del soggetto di cui si parla sono
un atto dovuto nei confronti del pubblico, altrimenti viene meno in modo
automatico ed evidente lo scopo di creare coscienza e consapevolezza
sull’oggetto della narrazione;
I come Image:
sia per dare quel carattere suggestivo di cui
si parlava prima, sia per permettere una rappresentazione migliore, la storia
deve riportare scenari reali per poi crearne di alternativi servendosi di
immagini, metafore, etc.;
T come Time:
si tratta del fattore dominante attorno cui ruota
il successo della storia. Riuscendo a coinvolgere me stesso, sono nelle
condizioni di poter gestire il ritmo della narrazione e valorizzare il contesto
in cui vado a calare la storia dandone differenti prospettive spazio-temporali;
Y come You:
il mio centro
di gravità quando mi confronto con la necessità di far emergere la vicenda di
qualcuno o di un luogo attraverso un racconto, deve essere sempre l’altro
poiché dovrà essere lui a beneficiare di ciò che andrò a illustrare.
Alcune presentazioni sono
rimaste fuori, ma a essere sincero nemmeno gli appunti sono potuti venire in
soccorso perché rimangono troppo lontane dal fil rouge che ha ispirato questo post.
A questo punto non mi
rimane che invitarvi a tenere sotto osservazione il sito web dell’Osservatorio
di Storytelling
per trovare foto e altri estratti della giornata che vi aiutino a capire meglio
il profumo di storie che si respirava quel giorno e augurarvi di poter prendere
parte a eventi tanto intensi ed appaganti.
Andrea
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