giovedì 4 giugno 2015

Infermieri: semplici operatori o persone che mettono in gioco la propria umanità?


Cari lettori,

l'ultima conferenza del ciclo Curare e Narrare a cui ho assistito, ha avuto come tema uno scenario che mi ha sempre incuriosito da quando mi occupo di narrazione in ambito salute.

La dimensione dell'assistenza al paziente all'interno delle strutture sanitarie, così come nell'ambito delle cure domiciliari, ha come punto di riferimento la figura dell'infermiere tanto che mi sono sempre chiesto se e quanto le competenze di questi professionisti li mettano nelle condizioni di accogliere le esigenze dei malato e dei suoi familiari.

Quando vidi nel programma la presenza tra gli ospiti della Professoressa Giovanna Artioli, una delle personalità più esperte in Italia sull'argomento, non vedevo l'ora che arrivasse il giorno della sua presentazione.

In un intervento dal titolo "Il nursing fondato sulla narrazione" è riuscita a raggiungere subito il fulcro della questione: il fisiologico quanto estenuante dibattito su quali debbano essere i modelli formativi che devono essere presi come riferimento per la formazione di un infermiere.

Per quanto riguarda l'Italia, sin dagli anni '80 ci si è ispirati ai modelli provenienti da oltreoceano e, solo negli utlimissimi anni, si è innescato un processo di riflessione profonda che ha portato a comprendere come non vi sia un pensiero infermieristico frutto di un confronto costante tra la teoria e la pratica quotidiana ma solo una formazione top-down destinata a rimanere nell'ambito delle scuole.

I due principali paradigmi sono:
  • POSITIVISTA = fondato sulla solidità scientifica delle osservazioni, si avvale si strumenti validati statisticamente e vanta una capacità concreta di problem solving. Come per gli studi clinici, i risultati su cui si basano le proposte operative sono rilevanti, ma non rappresentativi per la collettività (che è eterogenea per sua natura). I reali benefici che derivano dalla sua attuazione finiscono per essere tali solo per un gruppo ristretto di persone;
  • FENOMENOLOGICO = ha come valori di riferimento l'attenzione alla soggettività di tutti gli individui coinvolti nel percorso assistenziale, promuove la valorizzazione delle risorse interiori di ciascuno e, attraverso le stesse, l'interpretazione della realtà attraverso le dinamiche di relazione. Includere la complessità dell'essere umano per delineare il percorso assistenziale non permette di saperne prima la direzione e porta ad avere più attenzione verso il paziente. 
Dopo anni di discussione, si è arrivati a concludere che: (a) i modelli sino ad ora proposti sono scarsamente applicabili, (b) è necessaria una loro profonda revisione e (c) l'elemento da cui deve partire questa ricostruzione è un qualcosa di molto profondo, l'idea di uomo che ciascuno di noi ha.

Trattandosi di un concetto molto personale e, nello stesso tempo, del parametro principale che influenza il nostro agire, è un aspetto che merita un attenta valutazione da parte di ogni individuo che approcci un mestiere tanto complesso e delicato come quello dell'infermiere poiché si troverà costantemente a dover interagire con altri esseri umani.

Il non poter prescindere, quindi, dalla visione dell'uomo come "essere di relazione" è diventato il principio guida per la costruzione del modello infermieristico di domani. Al suo interno, non possono che confluire delle dinamiche di tipo narrativo poiché il racconto è una delle principali vie di innesco e consolidamento dell'interazione tra le persone.

Le palesi difficoltà di ricondurre i risultati e le scelte operative fatte nella pratica alle ipotesi formulate durante i percorsi formativi sta confermando come queste ultime abbiano bisogno di un riallineamento che porti verso un agire orientato al paziente.

L'eccessiva attenzione alla problematica clinica che esso manifesta, come già riscontrato per i medici, ha come esito uno svuotamento del rapporto paziente-infermiere dalla componente emotiva alla consapevolezza di ogni aspetto che riguarda le dinamiche che li portano a dover interagire.

Arrivare a risolvere il problema biologico in senso stretto, non è sempre garanzia del fatto che si abbia la meglio sul quadro complessivo di malattia. In quest'ultimo non è solo il corpo del malato ad essere coinvolto, ma la persona nella sua interezza, i parenti e qualunque altro soggetto che abbia preso parte al percorso diagnostico-terapeutico.

Con quest'ultima considerazione includo anche tutte le professionalità sanitarie che sono coinvolte nella cura, le quali non devono cadere nel tranello dell'autoreferenzialità o di un eccessivo distacco dalla vicenda del paziente.

Egli non deve essere lasciato privo di ruolo quando è il suo proprio corpo a dover essere trattato né i familiari devono essere messi alla finestra o autoescludersi perché le alterne vicende del loro caro possono avere delle conseguenze anche su di loro.

In buona sostanza, quella che dev'essere cercata è una maggiore integrazione tra i vari attori che prendono parte alla cura e, tra questi, i sanitari dovrebbero fare il primo passo sviluppando competenze di tipo tecnico, di tipo relazionale e di tipo educativo (in quanto è sotto gli occhi di tutti il gap nell'aderenza alla terapia di mantenimento o alle indicazioni sullo stile di vita dopo la dimmissione dall'ospedale).

Lato tecnico a parte, specialmente per gli infermieri che sono un po' il filo diretto di comunicazione, il riferimento a livello di presenza fisica e di accoglienza delle difficoltà emotive, le competenze relazionali ed educative possono avvalersi di 5 strumenti:
  • AGENDA DEL PAZIENTE = scrittura di un diario da condurre insieme al paziente, con l'obiettivo di far emergere sentimenti, le idee che ha della malattia e le sue aspettative/desideri;
  • AUTOBIOGRAFIA = tutto ciò che viene condiviso in modo verbale sia dal paziente sia dai familiari. Spesso si riferisce alle vicende di vita quotidiana antecedenti al manifestarsi del problema di salute che ha costituito, di fatto, un momento di rottura;
  • NARRAZIONE = capacità di accogliere il racconto del paziente o del familiare per poi       utilizzarne i contenuti emotivi e pratici come leve per migliorare le dinamiche relazionali durante la cura e la percezione complessiva di tutta questa fase dopo il termine del trattamento; 
  • ATTIVITA' DI COUNSELING = necessità di acquisire da parte dell'operatore di tre qualità che sono la capacità di ascolto attivo (in grado di proporre novità o accogliere bisogni), avere un approccio empatico e l'attenzione a rimanere sempre in relazione con l'altro; 
  • EMPLOTMENT TERAPEUTICO = dinamica che prevede la collaborazione con il paziente per creare la trama di una storia che con altri scenari e personaggi rappresenti la vicenda di malattia. Permette di dare un senso a ciò che sta vivendo come dramma trasformandolo in una situazione di cui è cosciente e padrone. 
Le storie che nascono possono diventare anche dei momenti di riflessione e crescita per chi ascolta.
Contenuto ed emozioni sono una formula magica che innesca azioni concrete di miglioramento, capacità di regire con tempestività alle emergenze, è una delle principali fonti di gratificazione nonché efficacissimo antidoto per il burn-out. 

In una sola espressione, il NURSING NARRATIVO vuole essere una sintesi di quanto si è appreso dall'esperienza sul campo in modo che questa possa essere affiancata alle conoscenze metodologiche attuali.

Per le sue caratteristiche è l'approccio ideale che l'operatore deve avere nelle fasi di routine come l'accertamento infermieristico e l'educazione terapeutica, altri scenari sarà il futuro a dirci quali saranno.

Il messaggio chiaro ancora una volta è il ruolo chiave che ha il lato narrativo delle cure e il suo potere tanto terapeutico quanto educativo. 

A presto,

Andrea 

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