lunedì 26 gennaio 2015

BREVE RIFLESSIONE E POI…VIA CON UN NUOVO VIAGGIO RICCO DI SPUNTI!

Più volte, nei miei post precedenti ho parlato del mio essere discontinuo nello scrivere su questo Blog. Da una parte, sono profondamente convinto che questo comportamento sia una rappresentazione fedele di come sono fatto, dall’altra, credo che un blog concepito come spazio dove esprimere il proprio pensiero e presentare ciò di cui ci si occupa con passione e dedizione, richieda una maggiore cura.

Circa un anno fa il lento cammino in questo senso è cominciato e in questo post ho cercato di gettare, dentro di me, le fondamenta per qualcosa di diverso, le sementi per un cammino più determinato nel cercare di rendere questa pagina un qualcosa che parli sia di me sia di ciò in cui credo: lo strumento narrativo e le sue molteplici applicazioni (comunicazione, salute, racconto del territorio, etc.).

Guardandomi indietro e lanciando uno sguardo all’archivio del blog che mi restituisce implacabilmente il verdetto, credo che una media di quasi un articolo al mese non sia male. Ora, con l’arrivo del 2015, mi sento ancora più determinato per tuffarmi in un’annata fatta di spunti e pensieri da lasciarvi.



A darmi una mano ci sarà sicuramente la scelta di seguire “Curare e Narrare. Medical Humanities eNarrazione in Sanità”, un ciclo di dodici conferenze che si snoderà da gennaio a ottobre, organizzato dall’ASL di Biella con il sostegno della Fondazione Edo ed Elvo Tempia Valenta O.N.L.U.S. e il patrocinio sia dell’Ordine dei Medici di Biella sia di IPASVI (organo di rappresentanza degli infermieri).

Nel riferirvi del primo appuntamento, che ha avuto luogo lunedì 12 Gennaio, sono in ritardo come al solito…una cosa che non vorrei ammettere poiché oggi pomeriggio seguirò il secondo incontro! È però successo e, d’ora in avanti, prometto di essere più costante e attento!

Il titolo della prima conferenza era Medical Humanities e Umanizzazione: Sinonimi o “falsi amici”? e il relatore era una persona il cui nome l'ho sentito pronunciare sin dal primo corso di formazione in Medicina Narrativa: il Prof. Sandro Spinsanti, psicologo, teologo e bioeticista. Presidente dell’Istituto Giano da lui fondato a Roma, ha ricoperto incarichi importanti cercando sempre di coniugare il sapere umanistico con quello scientifico.

Dal suo brillante intervento è emerso come sia difficile sia definire sia portare avanti l’umanizzazione nel campo medico. Il terreno su cui si muovono le persone che credono profondamente in questa cosa, è, in realtà, scivoloso dal punto di vista sia pratico sia linguistico.

Non si tratta solo di avere a che fare con le situazioni che la realtà ci mette quotidianamente davanti quando di mezzo c’è la salute, ma si tratta anche dei problemi che s’incontrano nello spiegare, senza rischiare messaggi parzialmente scorretti la scelta fatta nell’interpretare il proprio agire quotidiano: agire affinché il miglioramento della relazione medico-paziente contribuisca sempre di più a rendere le cure più efficaci.  

Un primo livello di difficoltà ha origine nell’abbondante uso di termini anglosassoni nel vocabolario “professionale” e la tendenza a usarlo come protezione quando si parla con il paziente, mentre si dovrebbe cercare il dialogo semplice.
In più, se si tiene conto dei fraintendimenti che si possono generare cercando di tradurre, in italiano, espressioni in inglese (lingua in cui la comunicazione di concetti diversi non avviene attraverso distinte costruzioni della frase, ma con le parole stesse che conferiscono differente senso alla frase avendo diversi significati) complicando di molto la faccenda alla base.
Molti di voi, infatti, non ne saranno al corrente, ma uno degli errori più diffusi e importanti riguarda la traduzione dell’espressione Evidence Based Medicine in medicina basata “sulle evidenze” quando invece è più esatto dire “sulle prove”.

Il secondo livello, invece, ci riporta a uno scenario potenzialmente comune a tutti: l’eventualità di trovarsi nelle mani di un medico per nulla affabile, ma in grado di salvarci la vita (ipotesi A) oppure viceversa (ipotesi B). Spinsanti non vuole ignorare, con questo esempio, il merito della questione, bensì sottolineare che le risposte alla domanda: 
“Quale situazione scegliereste? A oppure B?”
A. avere buoni medici
B. avere medici buoni
siano solo apparentemente uguali. La lingua italiana, è in grado identificare le due situazioni che avremmo di fronte con le stesse parole, invertendo semplicemente la posizione del termine “buoni” in modo che abbia una funzione attributiva nel primo caso e predicativa nel secondo.

I due esempi fatti vogliono essere uno stimolo alla riflessione circa la necessità di evitare una volta per tutte un modo di esprimersi ambiguo ed evitare che si generino delle incomprensioni in qualunque fase della relazione tra cittadino e le varie realtà deputate alla sua assistenza.

Nessuno, però, deve sentirsi escluso dal concorrere a dare il proprio contributo nonostante la quotidianità ci metta di fronte a casi che evidenziano quanto sia complicato.

Prendendo in esame la posizione dell’operatore sanitario, bisogna obiettivamente riconoscere i numerosi ostacoli che ha da superare per portare avanti il proprio lavoro. Si trova, volente o nolente, investito di ruoli e compiti che non gli sono consoni e per cui non ha alcuna preparazione (spesso si tratta di responsabilità amministrative o obiettivi volti a garantire l’efficienza della struttura per cui opera), aspetto che lo porta a perdere di vista lo scopo primario del suo agire: occuparsi dell’altro.

Il rischio molto alto per il clinico, l’infermiere o qualsiasi altro professionista del settore, è di non riuscire ad avere più una risposta alla domanda “ma chi me lo fa fare?”, in cui è racchiuso quel qualcosa che ognuno ha dentro di sé e lo fa muovere senza cadere vittima della routine e di automatismi deleteri.

Nel momento in cui ci si accorge o si è messi davanti a questo vuoto motivazionale, è opportuno che si sia affiancati per ritrovare quella che, nell’accezione più filantropica dell’umanizzazione della medicina, è la nostra essenza.

In questo tipo di situazioni, aiutano molto le progettualità di Medicina Narrativa le quali permettono un lavoro molto profondo d’introspezione. Una volta che il professionista ha occasione di condividere il suo punto di vista di uomo che vive la professione medica sulla propria pelle:
· ne avrà lui stesso un beneficio notevole;
· potranno nascere spunti per agire in modo costruttivo a livello dell’ambiente lavorativo;
e il servizio offerto ai pazienti tornerà a essere efficace e focalizzato su ogni singolo utente come auspicato dai pilastri di una delle più importanti riforme del Sistema sanitario Nazionale Italiano nel 1992: “il malato è pur sempre un cittadino a prescindere dallo stato della sua salute e, per questa ragione, deve essere soddisfatto”.

Nel momento in cui la dimensione umana del professionista medico riesce a essere preservata anche quella dell’assistito ne ha dei benefici: il clinico sarà in grado di applicare meglio il suo sapere scientifico isolando, quando deve, l’attenzione alla persona umana, ma senza mancare di rispetto a quella che è la componente biografica della malattia (come il paziente riferisce i sintomi e l’influenza complessiva del problema di salute sulla sua personale qualità di vita).

La visione delle medical humanities comprende l’esercizio di tutte quelle azioni volte a distinguere e a muoversi attraverso distinti orizzonti: FISICO (il corpo), FILOSOFICO (il pensiero) che può essere poi differenziato nella componente morale e in quella spirituale. Applicare il proprio sapere per curare le disfunzioni a livello biologico, senza divenire né un mero aggiustatore né condizionabile da pre-giudizi di ordine etico permetterà un esercizio di una medicina che è “la più umana delle scienze, la più empirica delle arti e la più scientifica delle humanities” (Edmund Pellegrino).

Sperando che questo post abbia aperto nuove prospettive come ha fatto con me, non mi resta che lasciarvi con un auspicio ad avervi di nuovo come lettori per i prossimi spunti di riflessione!

Andrea


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