Dopo due
appuntamenti dedicati, il primo, a comprendere il modificarsi nel tempo del significato
di parole come salute e malattia e, il secondo, quale sia stato il percorso che
ha portato la nostra società a evolvere un proprio sistema medico, il terzo
evento della rassegna “Curare e Narrare,
Medical Humanities e Narrazione in Sanità” cerca di entrare nel vivo dei
percorsi d’assistenza per cercare di capire le dinamiche che si sviluppano al
loro interno.
Come accaduto all’apertura
di ogni conferenza, alcuni minuti sono dedicati alla lettura di un racconto breve
o di una poesia al fine di entrare in sintonia con l’argomento che sarà poi
trattato dai relatori e, a questo giro, la scelta della “parabola dei seiciechi e dell’elefante” non poteva essere più appropriata.
Nel momento in
cui si osserva come la capacità di ascoltare e considerare l’opinione di tutti sia
messa in atto in ambito sanitario, emerge una tendenza a comportarsi come i protagonisti
del racconto. Nei contesti di cura, realtà già di per sé complesse, accade
spesso che la tendenza a delegare e suddividere eccessivamente i compiti generi
malintesi, renda difficile la loro risoluzione con derive pericolose che spesso
raggiungono la ribalta mediatica prima dei comportamenti virtuosi e penalizzi,
di fatto, il servizio offerto.
Analizzare simili
aspetti legati all’esercizio dell’arte medica, avere sempre ben presente la
delicatezza di alcune questioni bioetiche che vedono chiamati in causa i
clinici e sentirsi, come parte integrante di un sistema sanitario, responsabile
delle ricadute che la sua eccessiva sovra-strutturazione ha sulla salute collettiva,
sono state e sono tuttora l’anima del lavoro quotidiano svolto dal relatore
della conferenza.
La perfetta rappresentazione
di quanto sia articolata la situazione e di come gli strumenti per affrontarla
non siano da cercare molto lontano da noi, l’abbiamo già nel titolo scelto da Alfredo
Zuppiroli per il suo intervento: “Le trame della cura. Persona e Società tra Biologia
e Biografia”.
In esso sono presenti
le due facce della medaglia: la prima, che è anche il titolo del libro scritto
dallo speaker nel 2014, è la sua volontà di restituire attraverso le parole di
chi riceve assistenza le prove tangibili delle multiformi dinamiche d’assistenza
cui prende parte. Nella seconda, invece, è rappresentata la necessità di creare
una forte sintonia con il paziente e di capire il contesto culturale e
ambientale in cui si muove prima di decidere come affrontare ciò di cui è
affetto dal punto di vista clinico.
Nel suo racconto Zuppiroli
narra la sua esperienza di medico per cercare di spiegare quanto sia
fondamentale per chi fa questo mestiere affidarsi all’istinto per capire le
persone che si hanno davanti. Comprendere che gli ammalati sono un insieme fatto
di coscienze e anime prima ancora che di corpi danneggiati, richiede un’estrema
attenzione, ma è una strategia utile per creare un percorso per l’assistenza in
grado di integrare invece di creare distanza.
La sua
espressione che riporto per intero: “l’importanza
di un processo di cura è capire che tipo di persona c’è dietro la malattia
piuttosto che capire quale malattia abbia la persona in questione”, conferma
quanto appena detto e inizia a tratteggiare una visione della medicina in cui le
cause naturali (la biologia) delle malattie s’intrecciano profondamente con i
risvolti sociali che le singole persone vivono e i significati (interpretazioni)
che essi stessi attribuiscono a ciò che gli sta accadendo. In un unico termine:
la loro biografia.
L’ascolto della
storia della persona, le caratteristiche dell’ambiente in cui vive e i suoi
ritmi, sono aspetti che devono confluire nell’anamnesi in modo che la diagnosi
sia più corretta e il medico possa esercitare al meglio il suo compito. Grazie
all’instaurarsi di una buona relazione, troverà più facilmente il modo di diventare
narratore a sua volta e spiegare quelle che sono le scelte terapeutiche che ha
pensato di adottare.
Per dare un
inquadramento più chiaro, quello che abbiamo appena illustrato è il modello bio-psico-sociale
di cui sono un convinto sostenitore. Grazie ad esso, il percorso di cura riesce
a traghettare l’iniziale visione di malattia della persona che è normalmente contraddistinta
da paura e senso d’incertezza in un nuovo orizzonte in cui essa è parte
integrante della vita ed è tollerata senza problemi.
Inoltre, questa
visione ridisegna il concetto di salute quale risultato della capacità di
adattamento degli esseri umani che gli stessi riescono a raggiungere solo quando
riescono a mettere in gioco la capacità di ascoltare in modo profondo e aprirsi
al dialogo. Potrà sembrare un concetto astratto, ma si tratta di due istinti
che appartengono all’uomo come esempio più alto di animale narrante (come lo
definisce brillantemente Gottschall nel suo ultimo libro), con l’unica
differenza che sono andati perdendosi, sopraffatti dalle conquiste della
scienza e della tecnica.
In una relazione medico-paziente che diventa
biunivoca, entrambi lavorano per recuperare la loro centralità, ma l’aspetto più
importante è l’impegno del medico a mettere in gioco ogni giorno la sua
sensibilità e la sua umanità. In questo modo, l’assistito potrà incontrare meno
problemi nel comprendere caratteristiche ed effetti della patologia, potrà
ritrovare l’armonia con il proprio corpo avendo conosciuto le motivazioni di
ciò che gli accade, e vivrà gli eventuali condizionamenti con serenità.
Zuppiroli, a
questo proposito, riferisce di una domanda che i medici dovrebbero fare
costantemente a se stessi quando hanno di fronte un paziente a prescindere che
l’abbiano appena conosciuto oppure che lo vedano per un controllo: la surprising question.
Essa è fondamentale
nell’ottica della pianificazione congiunta delle cure con il paziente e la
famiglia, ma si rivela altrettanto fondamentale nel permettere al medico di
avere sempre la piena consapevolezza di come sta approcciando i bisogni di chi
ha davanti.
Per far si che le
dinamiche che abbiamo illustrato si diffondano, sempre più si sente molto
parlare di medicina narrativa come strumento d'elezione. Non posso che trovarmi
d’accordo su quanto essa possa essere d’aiuto, ma, come si chiede Zuppiroli, sono
anch’io dell’idea che non ci sia veramente bisogno di inventare strumenti o,
meglio, di accostare nuovi aggettivi al termine medicina. Si tratta solo di
riscoprire qualcosa che siamo già in grado di fare poiché appartiene alla
nostra natura più profonda di esseri umani.
Fare della medicina
narrativa, infatti, vuole anche dire riflettere su ciò che funziona e ciò che non
funziona nella sanità cercando di capire quelle che sono le prestazioni
appropriate. Lo stesso Zuppiroli ha confessato che la sua ambizione personale è
quella di dimostrare, utilizzando gli stessi approcci scientifici degli studi
clinici osservazionali, quanto avere modi più umani di praticare la medicina abbia
le loro buone ricadute.
Volendo arrivare
a delle conclusioni di quanto ascoltato, risulta chiaro che il clinico deve
impegnarsi per:
· integrare i riscontri biologici (esami e
prove strumentali) con ciò che il paziente riferisce innescando, così, un migliore
percorso di ricerca della salute;
· sviluppare la propria capacità di intuire il
fil rouge emozionale con cui il
paziente vive il percorso di diagnosi della malattia per supportarlo nella fase
di comprensione delle terapie;
· spiegare a paziente e parenti gli
eventuali servizi di cui potrà usufruire in caso di bisogno e la necessità di un
monitoraggio nel lungo termine in modo che la famiglia si senta coinvolta nel
percorso.
Se poi guardiamo
più in grande alla strada che questi nuovi comportamenti aprirebbero, che si parli
di complesse politiche sanitarie o delle scelte di singolo medico, non si può più
ignorare l’influenza che i fattori ambientali o socio-economici hanno sulla nostra
quotidianità.
Con il passare
del tempo ci si renderà conto di come gli strumenti utili a individuare la
migliore terapia per il suo problema clinico potranno essere rintracciati nel
racconto di un paziente colmando le lacune degli studi clinici (massima
espressione della medicina basata sulle prove o EBM) che, spesso, non coprono
le fasce d’età più avanzate in cui la maggior parte delle patologie si
manifesta.