mercoledì 10 dicembre 2014

SCRIVERE: narrazione ma anche sapere quando è il momento di dare un senso alle cose


Ciao a tutti,

ammetto di non possedere il sacro fuoco della cronaca tipico del giornalista, né la reattività di chi è sempre sul pezzo com’è prerogativa di alcuni blogger, ma non ritengo che vi sia una e una sola regola soprattutto quando ci si riferisce al blog personale. Magari le mie scelte non sono tra le più produttive, ma preferisco essere onesto e includermi tra chi non è portato a scrivere di un evento in modo immediato…sperando di non fare categoria da solo!
Quando le manifestazioni volgono al termine, l’effetto dato dall’adrenalina e delle altre endorfine preferisco godermelo ripensando a ciò che ho visto e sentito, magari scrivendo qualcosa sui profili social, ma senza avere l’esigenza di inchiodarmi al PC durante il viaggio di ritorno, la sera stessa andando a dormire tardi o, al massimo entro le 48h successive.
A dimostrazione di quanto dico viene proprio questo post, riguardo al quale posso serenamente dire che la decisione di scrivere sulla mia partecipazione a #NarrAbility, IV Edizione del Convegno Nazionale di Storytelling (svoltosi il 28 Novembre scorso a Milano), è stato un processo spontaneo in cui tutto ciò che ho vissuto si è sedimentato e ha lavorato dentro di me sino a quando ho “percepito” che era arrivato il momento di condividerlo.

Riguardo a cosa sto facendo, il mio non sentirmi in ritardo “trova le sue radici” ideali nelle parole con cui, quell’esatto venerdì di qualche settimana fa Diana Bertoldi ha dato la sua personale descrizione di cosa voglia dire essere Storyteller o, se preferite, fare Storytelling:
“…riuscire ad ascoltare la pancia per portare avanti le proprie azioni, sinceri e puri.
Questa è l’alchimia necessaria affinché le storie riescano ad affiorare e si possa essere sicuri
di quanto ciò che emerge sia adatto per farlo in quell’istante.”                                                                          
Ma non è tutto qui. Mi sento anche giustificato (forse troppo…) nell’aver fuggito le imposizioni della mia razionalità, quel frutto dell’evoluzione che un po’ tutti dobbiamo imparare a gestire, che mi voleva vedere subito a capo chino su questo pezzo per averlo finito entro l’1 dicembre. Come sia stato possibile evitarlo? Per spiegare anche questo faccio ancora appello alle parole di Diana la quale, percorrendo il palco su e giù a piedi nudi, ha suggerito come fare per capire se ciò che esce dalla nostra bocca o finisce su un foglio sia autentico o, piuttosto, il frutto di un pensiero:
“…immediata, sicura ed emotivamente neutra è l’intuizione.
Per questo è destinata a sparire e dentro di noi non ne rimane l’impronta.
Se, invece, ne abbiamo traccia siamo di fronte a qualcosa di non autentico,
bensì frutto di elaborazione razionale.”

D’altronde, nel suo introdurre l’evento, anche Alessandra Cosso ha spiegato come sia centrale comunicare in modo autentico per descrivere luoghi in cui si è stati e le persone incontrate:
“la scelta di narrare una storia quanto quella di riferire un fatto di cronaca
diventa tale quando si utilizzano degli strumenti in grado di riportare al centro l’essere umano
Ed è proprio come descritto da quest’ultimo pensiero che mi sono sentito questa mattina nel prendere la decisione di scrivere questo post. Come lei stessa ha ribadito nel successivo intervento, mi sono sentito, anche solo in parte, come un “animale narrante abitato da Mondi Narrativi”. Seguendo la formula citata da Martino Gozzi: ho messo il sedere sulla sedia, niente Internet o telefono e via a collegare segnali e significati presenti nella mia coscienza / memoria dell’evento per creare dei nodi narrativi e, da essi, la storia che questo post rappresenta.
E allora, fedele a quanto appena detto come Penelope lo fu nell’attendere Ulisse, proseguo nella tessitura del mio racconto del convegno passando a parlare di quelli che sono gli attuali principi attorno a cui ruota e s’ispira la narrazione oggi.
Dopo due donne e un uomo non poteva che essere invocata la parità, e con nessun altro se non con Andrea Fontana, l’anima dello Storytelling made in Italy poteva essere ristabilita. Lui ha scelto l’escamotage quanto mai fanciullesco dello Scarabeo, gioco con cui tutti siamo cresciuti, la parola Narrability è diventata la traccia principale di una storia, l’anima di un racconto che nel resto della giornata avrebbe toccato arti, mestieri e territori tra i più disparati.   
Premessa (fatta dallo stesso Andrea e che sottoscrivo nonostante debba tutelare, da copywriter, la lingua italiana): la scelta del termine inglese è frutto del fatto che le due possibili traduzioni, raccontabilità e narrabilità, non riescono a restituire né il concetto di competenza nel creare delle storie né il bisogno primordiale di raccontarle da cui tutto ha origine, come abbiamo visto prima.
Venendo al dunque, a ogni lettera che compone il titolo della manifestazione, Andrea ha affiancato una parola e specificato una prerogativa di cui la capacità narrativa non doveva assolutamente essere sprovvista. Io, per completare il mio racconto ho scelto di affiancare, quando era il caso, interventi e relatori che risultassero esemplificativi in tal senso.

come Now:
ciò che raccontiamo risulta sempre un qualcosa che ha profondi legami con il momento che si sta vivendo a tal punto da sembrare una rappresentazione in streaming del nostro pensiero e delle nostre emozioni:
Lorenzo Gangarossa, Progetto Italy in a Day il primo social movie nato dal montaggio di più di 2000 ore di girato che rappresenta che cosa accade nelle 24h di una giornata;  
come Ability:
una volta che si ha una confidenza con le narrazioni, percorso che richiede molta sperimentazione e ascolto, ci si può mettere al servizio della collettività o dell’impresa per collaborare insieme alla costruzione di una storia o al recupero di valori importanti:
Massimo Benedetti, Strada del Riso Vercellese di Qualità; percorso di educazione alla narrazione come veicolo di informazioni sul proprio territorio per sentirsene custodi e ambasciatori;
come Role:
ciascuno di noi, solo nel momento in cui fa una scelta consapevole di condivisione, ha un ruolo all’interno di una narrazione e, grazie a essa, fa emergere la propria identità e le sue dinamiche relazionali:
Alessandra Cosso, L’esplorazione della realtà mediante le fiabe, si tratta di strumenti utilizzabili nei percorsi di coaching, di counseling e di medicina narrativa (che vedremo meglio in seguito) volti a far emergere gli immaginari delle persone e le problematiche sia emotive sia relazionali che stanno vivendo;
come Row:
qualsiasi tipo di narrazione si stia portando avanti, è imprescindibile decidere una sequenza agli eventi. Quest’aspetto sarà comunque e sempre influenzato dal nostro punto di vista per cui sia di ciò che ci riguarda sia di ciò che riguarda gli altri potranno nascere prospettive diverse che contribuiscono alla formazione di un pensiero collettivo:
Martino Gozzi, Montaggio ed Esperienza - Lo Storytelling in 9 scene memorabili, narrazione vuol dire ispirazione ma anche disciplina senza la quale mettere insieme gli elementi per dare origine a una storia di senso compiuto non sarebbe così facile;
come Anywhere:
qualsiasi luogo può diventare oggetto della narrazione, non soltanto una persona, perché si può sempre entrare in contatto con qualcosa che non appartiene al presente (non-luogo) ma ha dei contorni bene definiti perché comunque ha avuto una collocazione fisica e dei protagonisti. Specialmente nella narrazione del territorio, se la narrazione è ben costruita, il non-luogo può addirittura tornare a vivere:
Manuele Cecconello e Francesca Conti, Storie di Lana, programma di innovazione sociale che ha permesso la promozione della cultura del territorio per favorire il turismo e valorizzarne i prodotti, attraverso la condivisione di un patrimonio che sarebbe rimasto di pochi;
come Beauty:
la storia, per quanto debba rimanere strettamente legata al proprio contenuto e al suo carattere positivo / negativo, non deve essere priva di tratti suggestivi senza i quali non potrebbe definirsi una vera e propria storia;
come Illness:
come è successo nei primi stadi evolutivi del genere umano, il bisogno di raccontare nasce dalla necessità di esternare la propria insicurezza. Funziona come una richiesta più o meno velata di aiuto e di supporto di fronte a ciò che ci accade nella vita o intorno. Si può trattare di vicende che hanno bisogno di una soluzione o meno, ma per le quali la condivisione di ciò di cui si è avuto esperienza è già una risposta di per sé:
Micaela Castiglioni, Medicina Narrativa, ovvero che cosa c’entrano i medici con le storie?  In certe situazioni, i problemi di salute possono far sperimentare all’individuo un’incertezza radicale e fatica a ritrovare un senso per la propria vita. Spesso si aggiunge l’atteggiamento del curante che non si prende correttamente carico di chi soffre facendolo  diventare il luogo e non l’agente narrante della malattia (un mero progetto medico). Il medico o l’infermiere che ha a che fare con le storie cosa deve fare? Ascoltare le biografie ma anche prendersi il tempo di appuntarsele. Senza prendere coscienza delle sfumature antropologiche della malattia non riuscirà a comprenderla in pieno,  rappresentarla al paziente e accompagnarlo nel percorso di cura;
come Loyalty:
fedeltà e rispetto del soggetto di cui si parla sono un atto dovuto nei confronti del pubblico, altrimenti viene meno in modo automatico ed evidente lo scopo di creare coscienza e consapevolezza sull’oggetto della narrazione;
come Image:
sia per dare quel carattere suggestivo di cui si parlava prima, sia per permettere una rappresentazione migliore, la storia deve riportare scenari reali per poi crearne di alternativi servendosi di immagini, metafore, etc.;
T come Time:
si tratta del fattore dominante attorno cui ruota il successo della storia. Riuscendo a coinvolgere me stesso, sono nelle condizioni di poter gestire il ritmo della narrazione e valorizzare il contesto in cui vado a calare la storia dandone differenti prospettive spazio-temporali;
come You:
il mio centro di gravità quando mi confronto con la necessità di far emergere la vicenda di qualcuno o di un luogo attraverso un racconto, deve essere sempre l’altro poiché dovrà essere lui a beneficiare di ciò che andrò a illustrare.
Alcune presentazioni sono rimaste fuori, ma a essere sincero nemmeno gli appunti sono potuti venire in soccorso perché rimangono troppo lontane dal fil rouge che ha ispirato questo post.
A questo punto non mi rimane che invitarvi a tenere sotto osservazione il sito web dell’Osservatorio di Storytelling per trovare foto e altri estratti della giornata che vi aiutino a capire meglio il profumo di storie che si respirava quel giorno e augurarvi di poter prendere parte a eventi tanto intensi ed appaganti.


Andrea